Oh me! Oh vita! Di queste domande che ricorrono,
Degli infiniti cortei di infedeli, di città gremite di stolti,
Di me stesso che sempre mi rimprovero, (Perché chi più stolto di me, chi più infedele?)
Di occhi che invano bramano la luce, degli scopi meschini, della battaglia sempre rinnovata,
Dei poveri risultati di tutto, delle sordide folle ansimanti che vedo intorno a me,
Degli anni inutili e vuoti del resto, io intrecciato col resto,
La domanda, ahimé!così triste, ricorrente
-Cosa c’è di buono in tutto questo, o me, o vita?
Risposta:
Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità,
Che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un verso.
Eccoci qua, finalmente, dopo qualche mese di pausa, diariodiunviandante.it è tornato online. E, con lui, poco a poco torneranno anche i principali articoli che avevo pubblicato fino a giugno di quest’anno. E quale poteva essere il modo migliore per ricominciare se non ricondividere il primo articolo in assoluto che questo blog abbia visto, che, tra l’altro, parla anche della mia poesia preferita?
“Oh
me! Oh vita!” di Walt Whitman non ha bisogno di presentazioni.
Oltre ad essere uno dei capolavori del padre della poesia americana,
è stata anche resa celebre in tutto il mondo dal film “L’attimo
fuggente”. Ma quanti di voi, dopo aver avuto la pelle d’oca (perché
so che l’avete avuta) ascoltandola recitata dal Professor Keating,
sono andati a cercarsela, a rileggerla e con calma e a soffermarsi
sulle parole?
È una poesia preziosa, che tutti dovremmo rileggere ogni tanto perché ha molto da insegnarci sulla vita. Tanto per cominciare riesce a raccogliere quel costante senso di meraviglia e amore per l’esistenza che permea ogni parola scritta dal suo autore e, ancor di più, è il frutto della saggezza pratica, concreta, efficace di chi non si perde in riflessioni astratte ma rimane sempre dentro al flusso dell’esistenza.
Ma
cosa ci vuole dire lo zio Walt con queste parole?
Le nostre esistenze sono piene di cose che non ci piacciono, che ci fanno soffrire, che, se potessimo, cambieremmo. Le persone stupide e superficiali, che confluiscono nelle masse. Gli egoisti con i loro “scopi meschini”. Il tempo sprecato e inutile. Quel conflitto, quello struggimento che ci portiamo dentro e che continua a rinnovarsi ogni volta. E, infine, noi stessi, che siamo assediati dalle domande e dai dubbi e logorati lentamente.
Queste sono a grandi linee le cose che ha elencato Walt Whitman, ma se ne possono aggiungere altre – ognuno ha le sue. A questo punto, però, ci sorge spontanea una domanda: che cosa c’è di buono in tutto questo? Vale a dire: a fronte di tutti i fattori negativi che abbiamo elencato, cosa resta di buono nella vita? Cosa resta di buono nel mondo, nel fatto di essere qui ed ora? O, in altre parole: per quale motivo vale la pena vivere?
Lo zio Walt, come se volesse darci una mano – come se volesse dare una mano ad ogni ragazzo e ragazza, uomo o donna che si sentono un po’ smarriti – ci dà la risposta. Ed è una risposta tanto semplice quanto profonda:
Primo, che tu sei qui, che la vita esiste. Ma come: la domanda era “Che cosa c’è di buono nella vita?” e la risposta è “Che la vita esiste”? Sì. Walt Whitman ci vuole ricordare che la vita stessa è intrinsecamente degna di essere vissuta. Bisogna solo imparare ad amarla. Non è perché la vita sia degna di essere vissuta che uno se ne innamora ma è perché uno decide di amarla che diventa degna di essere vissuta. E in questo Whitman era un maestro. Non ci credete? Fate un tentativo.
Secondo, l’identità. La vita è intrinsecamente degna di essere vissuta, sì, ma una vita vissuta senza essere noi stessi è una tortura. Dobbiamo essere noi stessi, fare quello che amiamo e dedicarci a quello in cui crediamo, solo così saremmo davvero soddisfatti e in pace. Solo così ne varrà davvero la pena.
La poesia potrebbe finire qui, c’è già tutto: il cosa e il come. E invece aggiunge un ultimo punto: “che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuirvi con un verso.”
Ma devo davvero spiegarvi che cosa vuol dire?
L’universo e l’esistenza, che prima, quando si parlava dei lati negativi, erano “tutto questo”, sono diventati ora “il potente spettacolo”, mentre parliamo dei lati positivi: in questa definizione rientra l’intera visione del mondo dello zio Walt. Lui, quando si guardava intorno, vedeva questo: uno spettacolo così potente da suscitare meraviglia, tanto in un filo d’erba che cresce quanto in una stella che brucia, tanto in un bacio di chi amiamo quanto nell’abbraccio di un amico, come se ci fosse magia in ogni cosa.
E la magia più grande è che a tutto questo noi possiamo contribuire. Che possiamo lasciare un nostro segno, aggiungere un verso al poema, una nostra nota alla sinfonia, lasciare la nostra impronta sulla terra: che sarà inutile, perché il tempo cancella ogni cosa; ma sarà nostra, sarà unica e irripetibile e, per noi, non sarà priva di valore.

Se volete leggere “Oh me! Oh vita!” e le altre poesie di Walt Whitman, potete acquistare la sua raccolta qui. Vi ricordo che, acquistando attraverso questo link, voi pagherete la stessa cifra ma a me sarà riconosciuta una piccola percentuale della vostra spesa e starete quindi contribuendo al mio progetto.
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